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Estefano Tamburrini

Centro Papa Francesco: dalla necessità alla condivisione

Un luogo che nasce per consolidare i legami sociali, trasformando le fragilità in un'opportunità per camminare insieme, per fare comunità


Custodire, accogliere, promuovere, condividere, trasformare. Leggiamo queste cinque parole negli spazi del Centro Papa Francesco: sui muri del salone, della Cappella e del corridoio che porta verso le camere degli ospiti. Qualcuno le ha lasciate lì per raccontare il senso di questo luogo. Quasi a dire che «i muri parlano», come recita il titolo di un libro scritto da Gianni Magliano nel 1960. In questo caso, i muri testimoniano un intenso dialogo tra operatori, ospiti ed altre persone coinvolte in esperienze formative, conviviali e di accompagnamento presso il Centro di Accoglienza. Quest’ultimo inaugurato il 17 giugno 2018 in via dei Servi 18, in Centro Storico a Modena. Una scelta urbanistica voluta dall’arcivescovo Castellucci con l’obiettivo di facilitare la tessitura di legami tra le persone fragili e la comunità: destinatario reale di un progetto che mira a riconoscere il povero come portatore di risorse anziché di fragilità. Secondo Martina Romanelli, «Il Centro di accoglienza, che conta su otto stanze singole, si rivolge a uomini in condizione di fragilità e vulnerabilità, colpiti da eventi e situazioni di vita dirompenti, come può esserlo una separazione, un lutto, la malattia o la perdita del lavoro». Nell’affrontare queste situazioni, le persone potrebbero scoprirsi «senza legami sociali consistenti, indeboliti nel tempo per ragioni differenti. Notiamo così che la condizione di povertà non è così lontana, né improbabile» prosegue la Responsabile del Centro di Accoglienza, sottolineando che «il Centro Papa Francesco, conta anche su due appartamenti in autonomia, che ospitano una famiglia ghanese e un uomo italiano di circa settant’anni, che spesso riceve la visita di sua figlia; oltre a un’esperienza di co-abitazione al femminile, che ospita tre donne ed è interamente autogestita». Secondo Gian Luca Taccini, operatore presso il Centro, «Ciascuno degli ospiti si impegna, a turni, nella preparazione della cena, nella sanificazione degli spazi e nell’assunzione di altre responsabilità necessarie a rendere sostenibile la vita in comune». «Una volta a settimana, gli ospiti si incontrano con gli operatori per organizzare la vita nel Centro di accoglienza. Il momento è utile anche per affrontare i conflitti, trasformandoli in un’opportunità per arricchire l’esperienza» conclude Gian Luca.

Gli ospiti sono invitati a partecipare anche in laboratori, che si tengono presso il Centro diurno, così come in alcuni momenti conviviali ed eventi culturali ai quali gli ospiti sono spesso invitati a partecipare. Ogni esperienza è finalizzata a dare parola e fiducia alla persona accolta, riconosciuta portatrice di risorse da cui la comunità può beneficiare. L’insieme di queste proposte sono finalizzate alla tessitura di nuovi legami e, laddove possibile, alla riparazione dei legami perduti. Qui il senso del Progetto 8xmille Cei «Legami che Liberano» (2018-2020), dove la risposta ai bisogni primari - casa, cibo, lavoro - è divenuta uno strumento per la promozione di una piena cittadinanza, di una partecipazione attiva alla vita della comunità. A partire dal 2021, questo progetto si è evoluto nella costituzione di un’équipe integrata, dove Caritas diocesana e il Servizio sociale territoriale hanno predisposto una serie di strumenti condivisi, utili a consolidare i legami sociali nel territorio lavorando in un’ottica di comunità. Cambio di paradigma necessario in una fase storica che ci vede più fragili, più vulnerabili, più poveri, come rilevato nell’ultimo rapporto Caritas e nella quale la questione sociale si trasforma, sempre di più, in una «questione morale», come affermava Paolo VI nell’Enciclica Popolorum Progressio (1967).

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