Gravi difficoltà per il 5,6 milioni di italiani, che equivalgono al 9,4% della popolazione.
«Occorre ripensare il tema della fragilità secondo una logica di coesione e inclusione».
Riportiamo l'intervista rilasciata dal vicedirettore Federico Valenzano alla redazione di Nostro Tempo e pubblicata dal Settimanale nell'edizione di domenica 23 ottobre (pagina 7).
In Italia, se si nasce in una famiglia povera, occorrono 5 generazioni per salire la scala sociale. Viene chiamata «povertà intergenerazionale» o «ereditaria» e si usa la metafora dei cosiddetti «sticky grounds» e «stichy ceilings», ovvero quei “pavimenti e soffitti appiccicosi” che impediscono ai giovani di riscattarsi da situazioni sociali difficili. Secondo il rapporto, sei assistiti su 10 risultano «poveri intergenerazionali», sono rimasti cioè “intrappolati” in questa situazione. Il dato italiano è eclatante: 5,6 milioni di poveri assoluti, il 9,4% della popolazione, di cui 1,4 milioni bambini (fonte Istat).
I centri di ascolto e le Caritas diocesane offrono uno spaccato significativo sulla povertà in Italia. Nel 2021 sono stati erogati quasi 1 milione e mezzo di interventi di aiuto da 192 Caritas diocesane. Almeno 227.556 sono state persone supportate dai soli servizi Caritas. Rispetto al 2020 c’è stato un incremento del 7,7% di nuovi beneficiari, soprattutto stranieri. Non sempre sono nuovi poveri ma persone che entrano ed escono da una situazione di bisogno. L’età media dei beneficiari è di 45,8 anni.
Anche la diocesi di Modena conferma i dati: «Se un tempo si tendeva a ereditare la ricchezza -afferma Federico Valenzano, vicedirettore della Caritas diocesana modenese - oggi si eredita la povertà. In primo luogo, lavorando sul territorio e avviando progetti in un quartiere “sensibile” come Sacca-Crocetta, ci ha colpito la correlazione profonda tra povertà e diseguaglianze: nei centri parrocchiali ci sono sempre più agganci di Caritas con figli e parenti di persone già aiutate, perché molti giovani provenienti da situazioni di disagio non riescono a ottenere un riscatto sociale ed economico».
«Per spiegare quello che sta accadendo - spiega Valenzano non userei la classica immagine della forbice che estende il divario tra ricchi e poveri, ma quella di un piano inclinato che progressivamente si inclina di più, precipitando un numero sempre maggiore di persone in uno stato di povertà. Fa riflettere il numero in aumento di famiglie che, per far fronte nell’immediato a bisogni impellenti come la questione delle utenze, chiedono prestiti in canali non convenzionali, esponendosi al rischio dell’usura. La povertà è il frutto avvelenato delle diseguaglianze: pandemia, inflazione e rincari energetici dovuti alla guerra colpiscono in maniera più efferata chi è più fragile e oggi notiamo che le probabilità di uscire dalle situazioni di sofferenza sono più basse rispetto a qualche anno fa».
«Un’altra questione da non trascurare - denuncia il vicedirettore Caritas - è il fatto che una persona su quattro che vive in una condizione di povertà, in realtà lavori: per queste ragioni la questione ritengo che i dati del report, che già sono impressionanti, siano semplicemente il segnale dell’inizio della “marea” che arriverà con la crisi energetica.
Questo dato ci porta a dover ripensare un modello di welfare più inclusivo e sostenibile: sarebbe inimmaginabile fronteggiare una crisi così ampia con i soli mezzi Caritas».
«Da questa crisi - conclude Valenzano - si può uscire soltanto insieme e come cristiani siamo chiamati a fare nostro il monito di papa Francesco che “nessuno si salva da solo”. Se questo rapporto Caritas porta alla luce le ferite della povertà dobbiamo trovare il coraggio di trasformarle in feritoie attraversate dalla luce della speranza; questi dati ci impongono di trovare risposte dove le risorse non siano più consumate ma valorizzate in un’ ottica di comunità e dove le stesse divengono strategie per promuovere coesione sociale al posto di isolamento e disgregazione».
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